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E se Leadership ed Empatia facessero pace?

come essere empatici in azienda eugenia carbonara

Quali sono le caratteristiche di un capo che ti fanno sentire veramente accolto? Da lavoratore ci hai mai pensato?

In un momento come quello che stiamo vivendo molte cose che sono cambiate rapidamente, spesso senza nemmeno passare per un progetto o una pianificazione, e tra queste sicuramente possiamo annoverare la leadership e i gruppi di lavoro.

Milioni di manager si sono trovati da un giorno all’altro a gestire gruppi virtuali, gruppi spaventati, gruppi demotivati e hanno dovuto immaginare nuove strategie da applicare per arrivare comunque al raggiungimento del risultato.
Se tante persone hanno attraversato momenti di disagio psicologico nell’ultimo periodo, molto verosimilmente questo disagio è entrato in azienda.

Le persone sperimentano ansia, paura dell’incertezza, destabilizzazione, confusione e tristezza. Questo è il momento in cui emergono dei nuovi bisogni, come ad esempio ricevere rassicurazione, ascolto e accoglienza (elementi mai scontati nei contesti organizzativi).
I gruppi hanno la necessità di una guida stabile sia per metabolizzare tutti i cambiamenti che sono arrivati improvvisamente, che hanno portato disordine e destrutturazione, sia per raggiungere una nuova omeostasi.

Ma cosa è veramente cambiato nella relazione tra il leader il suo team? La risposta è in realtà molto semplice, è cambiata la relazione stessa.
Ora come ora sono sempre più evidenti gli elementi disfunzionali nelle organizzazioni, e ancora più lampanti i modelli di successo.
Non possiamo perseverare a prescindere dall’empatia, caratteristica a lungo studiata anche nei contesti organizzativi, che porta sempre al raggiungimento degli obiettivi con tanto di soddisfazione del gruppo.
“Si ok” mi ha risposto una manager di mezza età che affrontava un percorso di cambiamento personale all’interno del quale era arrivata a mettere in discussione il proprio ruolo “ma cosa vuol dire empatia a lavoro? Devo essere triste quando qualcuno è triste e stressata quando qualcuno va sotto pressione?”.
No, questo comportamento è l’esatto opposto dell’empatia e non c’è niente di più innaturale.

Un bravo leader deve essere consapevole di quello che sente rispetto alle situazioni che coinvolgono i membri del gruppo.
Non si tratta di una capacità cognitiva, in cui bisogna sforzarsi di capire qualcosa quando abbiamo una persona davanti a noi, qualcosa di simile una pretesa di interpretarla senza sforzarsi di conoscerla, bensì di una capacità emotiva che dipende da quanto si è in contatto con il proprio sentire durante le esperienze di relazione con l’altro.
Le organizzazioni non sono dei pianeti extraterrestri con un’anticamera in cui i lavoratori/persone depositano temporaneamente la propria vita prima di iniziare la giornata lavorativa.
Le organizzazioni rappresentano il luogo in cui le persone passano la maggior parte del tempo, entrano a fare parte della vita delle persone, sono fatte da persone e per questo motivo si riempiono anche dell’emotività delle persone che ne fanno parte. Chissà che un giorno le aziende riescano a farsene una ragione!

Un leader che sa esercitare l’empatia ha una posizione di privilegio, ha la capacità di viaggiare nel mondo dell’altro e tornare indietro arricchendosi sempre di più. Un buon leader ha la capacità di adattarsi alle spigolosità del suo team e arricchire il gruppo attraverso la diversità.
Un leader empatico non ha paura di entrare in relazione con l’altro e non lo fa applicando il suo schema, ossia incasellando le persone nella griglia che utilizza per analizzare il mondo, ma lo fa entrando in contatto con il proprio mondo emotivo e con l’effetto che l’esperienza di relazione gli fa.

Per moltissimo tempo le aziende hanno dato spazio a leader competenti sui numeri a discapito del clima organizzativo, ma ormai è abbastanza noto che le competenze che fanno crescere i fatturati delle organizzazioni sono altre.
Non sono gli articoli sui giornali, le interviste televisive o la numerosità di un gruppo che fa un “buon leader”, ma il livello di soddisfazione e benessere del suo team.
Lo scopo del bravo leader è guidare un gruppo a diventare la “miglior versione di sè stesso” che non rappresenta la perfezione assoluta, bensì un obiettivo verosimilmente più vicino alla realtà.

Oggi più di ieri, per raggiungere gruppi che non sono fisicamente sempre presenti, la leadership ha bisogno di esercitare l’empatia per assicurarsi che la relazione non muoia nei canali virtuali.
Quindi tornando alla domanda iniziale, è molto probabile che tu ti senta accolto da un capo, o più in generale da un’organizzazione, nella misura in cui potrai sviluppare la tua autonomia, avere obiettivi condivisi con i tuoi colleghi, avere chiaro il percorso di crescita che puoi fare e soprattutto quando la tua unicità sarà valorizzata come risorsa per la cultura aziendale e non sarà considerata un punto debole da attaccare.

La Leadership empatica rende le persone più serene, soddisfatte e di conseguenza produttive; favorisce la costruzione di uno spazio all’interno delle organizzazioni in cui le persone possono esprimere i loro bisogni, senza essere giudicate o dover pagare “il prezzo di essere sè stesse”, favorisce uno spazio in cui apprezzare la manifestazione della loro autentica unicità.
Le aziende scelgono le persone che ne entrano a far parte ed è altrettanto vero che le persone scelgono i leader con cui risuonano meglio.
E tu risuoni con il tuo leader?

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